Quando si nasce, si comincia prima a crescere e poi ad invecchiare. Accade dai vent’anni in poi, anche se in realtà il processo è lento e lungo. Quando parliamo di longevità (il termine deriva dal latino longaevus, composto da longus, lungo e aevum, età) intendiamo «chi vive più a lungo rispetto alla media normale degli altri individui della sua specie». 

Di pazienti longevi ne ho conosciuti anch’io. E potrei suddividerli in due tipologie: i sopravvissuti e i sorprendenti. Il paziente (longevo) sopravvissuto – che in effetti rappresenta la maggioranza – ha un’età biologica in linea, se non avanti, rispetto a quella anagrafica. Dimostra cioè, spesso, più degli anni di nascita, è sedentario, ha molte malattie in corso che lo turbano, ha un sistema cognitivo rallentato, spesso incline alla depressione, necessita di cure mediche intensive e controlli frequenti. Il secondo, il sorprendente, è al contrario completamente autonomo (arriva da solo in macchina o dopo una lunga passeggiata). Clinicamente ha un’età biologica nettamente precoce rispetto a quella anagrafica. Non ha molte malattie, anzi, ma soprattutto è motivato a stare bene, è autonomo. Rita Levi di Montalcini affermava: «se la durata della vita media è di circa ottant’anni, la durata della vita media in salute in realtà è di cinquant’anni». Ecco, secondo la sua brillante definizione, potrei affermare serenamente che il sopravvissuto ha passato gran parte della sua vita dopo i cinquant’anni a curarsi. Il sorprendente, invece, invecchia ma continua a stare bene, anche dopo i cinquant’anni. Ed è questo il vero longevo, dal quale dobbiamo prendere esempio e verso il quale dobbiamo tendere.

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